Bomba a d'Ingeo, continuano le indagini. Ma ancora nessuna svolta

Inascoltati gli appelli dell’attivista del Liberatorio. Restano i sospetti, ma nulla di più

venerdì 17 agosto 2018
A cura di Nicola Miccione
Resta per il momento un giallo irrisolto, quello dell'ordigno rudimentale fatto esplodere il 16 giugno scorso dinanzi alla porta d'ingresso dell'abitazione di Matteo d'Ingeo, coordinatore del movimento civico Liberatorio Politico di Molfetta, che ha danneggiato la porta d'ingresso e il muro circostante.

A due mesi dall'atto intimidatorio (il secondo in pochi mesi ai danni della stessa persona, ndr), i Carabinieri della locale Compagnia, che nelle ore successive all'episodio hanno acquisito le immagini di videosorveglianza delle attività commerciali della zona ed eseguito perquisizioni domiciliari, sono stretti nel più totale riserbo, dagli uffici di via Vittime di Nassirya non trapela nessuna informazione, ma al momento non c'è nulla che possa imprimere una svolta alle indagini.

Restano gli indizi, i sospetti, ma nulla di più. Nulla di concreto. Gli inquirenti si sono subito soffermati sull'attività svolta da d'Ingeo negli ultimi mesi: dal processo sul porto di Molfetta in cui è coinvolto l'ex sindaco e senatore di Forza Italia Antonio Azzolini (in cui il Liberatorio Politico è parte civile), per passare alle denunce della possibile incompatibilità del consigliere comunale Pino Amato, processato e assolto per prescrizione del reato di voto di scambio. Non solo.

Anche i numerosi articoli pubblicati sul blog del movimento molfettese sulle tematiche ambientali, sulle autorizzazioni ai locali rilasciate dal Comune di Molfetta e sull'uso del suolo pubblico da parte degli ambulanti, potrebbero aver dato fastidio a qualcuno. E proprio due ambulanti, nel 2014 e nel 2016, aggredirono il professore di Educazione Fisica in mezzo alla strada; dopo intimidazioni, minacce e insulti, seguirono le botte.

L'attivista molfettese, inoltre, dal 2009 è sottoposto al primo tipo di protezione correlato al grado di pericolo (rischio basso, ma esistente), ovvero la forma più leggera di controllo, disposto nei casi in cui il pericolo è considerato relativamente basso: un'auto della Polizia di Stato o dell'Arma dei Carabinieri - secondo le direttive sulla sicurezza nazionale - passa più volte al giorno nelle vicinanze del posto di lavoro o dell'abitazione della persona da proteggere.

«Evidentemente questo tipo di dispositivo - ragiona d'Ingeo - non ha funzionato. Oggi mi chiedo se il livello di attenzione e protezione sia lo stesso, dopo l'atto intimidatorio del 2009, le intimidazioni verbali e fisiche, le querele per diffamazione tutte archiviate, l'aggressione fisica del 2016, la prima e seconda bomba di quest'anno. Mi piacerebbe capire cos'altro deve accadermi per vincere il premio di una più consona e adeguata protezione».

«Ho la sensazione di vivere sospeso in una sorta di limbo, in attesa che qualcosa accada - prosegue d'Ingeo -. Non mi aiuta il silenzio assordante in città, la solidarietà si è sciolta sotto la calura estiva, le istituzioni tacciono e nessuno mi dice a che punto sono le indagini». In realtà l'attività è in corso, ma dopo due mesi non è emerso alcun elemento che potesse riportare sulle tracce dell'autore del gesto. E chi ha posizionato quell'ordigno rimane ancora senza volto.

Insomma, il giallo non è stato ancora risolto ed è per questo che gli inquirenti continuano sulla scorta del massimo riserbo, continuando a soffermarsi su alcune delle questioni più calde trattate da d'Ingeo negli ultimi mesi. Per ora, però, non sono emersi elementi utili. E all'orizzonte non s'intravede nessuna svolta.