Sequestro da 14,5 milioni di euro a Ciccolella. Accuse di bancarotta fraudolenta

Ancora guai per il re dei fiori: avrebbe distratto il patrimonio della F.lli Ciccolella per evitare di pagare creditori e fisco

giovedì 16 novembre 2023 11.52
L'imprenditore molfettese, il 67enne Corrado Ciccolella, il «re dei vivai, delle rose, degli anthurium» e produttore di energie alternative, deve fronteggiare un'altra tegola giudiziaria dopo quelle che lo avevano colpito negli ultimi anni. Stavolta si tratta di un decreto di sequestro preventivo per oltre 14,5 milioni di euro, fra le province di Bari, Foggia, Treviso e Padova. In corso anche numerose perquisizioni.

L'ordinanza, eseguita dai militari della Guardia di Finanza del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari nei confronti di due società di Molfetta, la F.lli Ciccolella e la N.G.C. Floriale, quest'ultima amministrata formalmente da Alessandro Cogo, 83enne di Bari, ma mai divenuta operativa, è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Lucia Anna Altamura, e muove dal convincimento che i due, in concorso con la collaboratrice Valeria Serafini, 42enne di Bari, «distraevano dal patrimonio sociale beni immobili e somme di denaro della F.lli Ciccolella del valore di oltre 7 milioni di euro in favore della N.G.C. Floriale» per evitare di pagare creditori e fisco.

Con loro, accusati a vario titolo dei reati di bancarotta fraudolenta, inosservanze da parte del fallito, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, ricettazione e riciclaggio, sono indagati anche Michele Bellomo, 53enne di Bari, socio di maggioranza della Ma.Sa. s.r.l., e Lucia Ladisa, 58enne di Palo del Colle, amministratore della Boutique Hotel Apulia.

La misura cautelare reale è stata eseguita nei confronti di due società aventi sede a Molfetta:
  1. Una attiva nel settore della compravendita di immobili e dell'assunzione di partecipazioni;
  2. L'altra operante nel campo della progettazione, realizzazione e commercializzazione di impianti per la produzione di energia.
Nello specifico, sotto sequestro, sono finiti un capannone industriale in corso di costruzione a Molfetta, un terreno, sempre a Molfetta, su cui era in corso la realizzazione di un opificio industriale, quattro appartamenti e le relative pertinenze, tra Candela, in provincia di Foggia, e Zero Branco, in provincia di Treviso, oltre a depositi cauzionali, crediti verso soci e verso terzi per un valore complessivo di oltre 14,5 milioni di euro.

L'odierno provvedimento si inquadra nell'ambito di più complesse indagini di polizia giudiziaria delegate dalla Procura della Repubblica di Trani al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari, diretto dal colonnello Roberto Maniscalco, aventi ad oggetto la gestione di molteplici società riconducibili a uno stesso «centro di interessi» familiari, attive nel settore florovivaistico e di produzione di energia.

In particolare, «gli immobili e i crediti sequestrati - secondo gli inquirenti coordinati dai pubblici ministeri della Procura della Repubblica di Trani, Giuseppe Francesco Aiello e Roberta Moramarco - costituivano asset aziendali oggetto di un'operazione societaria avvenuta tra due società molfettesi» coinvolte nella vicenda giudiziaria:

Nel dettaglio, come si evince dal capo di incolpazione formulato dall'Autorità Giudiziaria inquirente: Quest'operazione societaria avrebbe, inoltre, secondo l'accusa, «consentito alla società controllante di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, con riferimento agli anni d'imposta dal 2004, per un ammontare di circa 5,4 milioni di euro, comprensivo di sanzioni e interessi, rendendo inefficace la procedura di riscossione coattiva da parte dell'Agenzia delle Entrate».

Le indagini eseguite - partite nel 2020 e consistite tra l'altro nell'analisi della copiosa documentazione sequestrata le cui risultanze sono state opportunamente incrociate con gli elementi informativi acquisiti nel corso delle indagini tecniche - «avrebbero consentito di acquisire un grave quadro indiziario nei confronti delle 5 persone fisiche indagate, ulteriormente consolidato a seguito della consulenza tecnica disposta dai pubblici ministeri».

Un ruolo importante, nella fase di perfezionamento dell'operazione distrattiva, sarebbe stato rivestito da una stretta collaboratrice dell'amministratore (di fatto) delle società coinvolte, Serafini, «la quale si adoperava fattivamente per reperire i documenti necessari a favorire la stipula dal notaio dell'atto di scissione nel più breve tempo possibile, in considerazione delle azioni giudiziarie civili pendenti».

Numerosi, poi, «gli elementi investigativi acquisiti che hanno consentito di meglio "perimetrare" le condotte illecite emerse nel corso delle indagini: fra queste, si segnalano la nomina di un prestanome», Cogo, «la costituzione di una nuova s.r.l. - la N.G.C. Floriale, beneficiaria dell'operazione straordinaria e di fatto mai divenuta operativa -, la predisposizione del progetto di scissione e la relativa stipula dell'atto con tempistiche e modalità sospette».

Come evidenziato, infatti, dalla gip del Tribunale di Trani nel decreto di sequestro preventivo «risultano indici precisi e concordanti di un intento fraudolento messo in pratica dagli odierni indagati in danno dei creditori della società scissa, avvalendosi, in termini impropri e illeciti, dello strumento della scissione, adoperato in modo deviato rispetto ai suoi ordinari fini leciti legati all'organizzazione dell'attività d'impresa, come previsti e disciplinati dal codice civile agli artt. 2506 e ss».

Particolare rilievo investigativo hanno assunto le intercettazioni eseguite, che avrebbero confermato il quadro indiziario ed evidenziato la progettazione di ulteriori operazioni straordinarie all'interno del «gruppo familiare». La complessiva ricostruzione dei rapporti intercorsi fra le varie imprese coinvolte avrebbe consentito, altresì, di accertare la corresponsione di compenso di circa 30mila euro al "prestanome", Cogo, utilizzato per perfezionare l'operazione societaria.

«In particolare, tale somma, derivante da ulteriori condotte appropriative a danno di altre società riconducibili al medesimo contesto familiare, dopo plurime movimentazioni bancarie - concludono gli inquirenti - sarebbe stata versata alla "testa di legno" (Cogo) giustificando il "passaggio di denaro" con contratti di finanziamento ritenuti "simulati"».