Azzollini, ecco come ha votato la Giunta per le immunità

Si per l’arresto da Pd, M5S e Lega. No da FI, socialisti e Ncd.

giovedì 9 luglio 2015 16.28
A cura di Maria Marino
Dopo qualche ora dall'aver reso pubblico l'esito della votazione finale della Giunta per le immunità del Senato che si è espressa a favore della richiesta di arresti ai domiciliari per Antonio Azzollini all'interno della vicenda sulla bancarotta della Casa Divina Provvidenza, emergono i primi retroscena di una seduta camerale alquanto accesa.

Nomi, posizioni, voti di partiti e movimenti che si intrecciano nella vicenda giudiziaria che ha sconvolto Bisceglie, che toccano sicuramente la vita non solo politica del senatore molfettese e che potrebbero finire per avere un grande impatto sulla politica nazionale. Perché, benché se ne dica, quando l'Aula di Palazzo Madama sarà chiamata a decidere se seguire la proposta o no della Giunta qualche equilibrio potrebbe saltare. Compreso il governo Renzi.

A favore dell'esecuzione dell'ordinanza cautelare emessa dalla Procura di Trani si sono espressi in dodici; in primis il Movimento 5 Stelle che, come è possibile leggere dal verbale della seduta, fa forza sulla decisione del Tribunale del Riesame di Bari che ha rigettato la richiesta di revoca dell'ordinanza da parte di Azzollini. Linea di pensiero pressoché identica per il Partito Democratico secondo cui proprio la decisione dei magistrati baresi esclude il fumus persecutionis sulla cui esistenza la stessa Giunta è chiamata ad esprimersi. Infine la Lega Nord.

Diversa posizione quella di Forza Italia, socialisti e Nuove centro destra. Il loro è un no perché "non si comprendono i presupposti della misura cautelare degli arresti domiciliari richiesta nei confronti del senatore Azzollini, poiché non sussiste né il pericolo di inquinamento delle prove né il rischio di una reiterazione dei reati", recita il verbale.

Ora la questione passa al Senato. I tempi della decisione dipenderanno dalla Presidenza di Palazzo Madama: potrebbero aggirarsi da un minimo di venti giorni a un massimo di trenta giorni, seppure tale termine non è perentorio.