Arrestato e assolto dopo 17 anni. Il calvario di Pasquale Salvemini
L'ambientalista, indagato dal 2005, era finito ai domiciliari nel 2008. La Corte d'Appello lo ha scagionato da ogni accusa
venerdì 10 giugno 2022
9.16
Gli ultimi 17 anni, per l'ambientalista molfettese Pasquale Salvemini, sono stati un vero e proprio incubo. Adesso, però, giustizia è stata fatta e la Corte d'Appello di Bari l'ha assolto da ogni accusa «perché il fatto non sussiste». Insomma, il referente regionale del Wwf e della Lega per l'Abolizione della Caccia adesso può godersi la vita dopo essersi tolto un macigno enorme.
E, soprattutto, ha finalmente una sentenza in mano che conferma quanto ha sempre sostenuto a chi gli chiedeva conto dell'epilogo amaro accaduto a un anziano cacciatore, morto durante una perquisizione. Nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Francesco Zecchillo, che il 15 gennaio 2008 squartò la sua vita, quella di un sovrintendente dell'allora Corpo Forestale dello Stato, Raffaele Stano, e di una guardia venatoria volontaria del Wwf, Moisè Mario Salvatore Checchia, c'erano accuse da far tremare i polsi: violenza privata continuata aggravata, omicidio colposo con morte come conseguenza di altro delitto, lesioni aggravate, falso ideologico e materiale, abuso d'ufficio e calunnia.
Tutti reati commessi, per il pubblico ministero che condusse le indagini dell'epoca, Michele Ruggiero, fra il 2005 e il 2007 al termine di una piccola inchiesta di provincia che finì sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. I Carabinieri della Compagnia di Barletta, nel corso dell'attività investigativa, avrebbero accertato che i tre, svolgendo semplici controlli contro il bracconaggio nei boschi delle province di Bari e di Barletta, Andria e Trani, avrebbero utilizzato metodi sin troppo decisi, addirittura violenti, oltre a minacce e pesanti perquisizioni da parte delle guardie volontarie venatorie del Wwf. Salvemini fu posto agli arresti domiciliari per 15 giorni. E poi attese dieci lunghi anni la sentenza di primo grado.
Il 17 settembre 2018, infatti, il giudice monocratico del Tribunale di Trani, Paola Buccelli, condannò Stano a 3 anni e 6 mesi e le guardie Checchia e Salvemini a 2 anni e 6 mesi per il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale. Gran parte dei numerosi capi d'imputazione loro addebitati dalla Procura di Trani, tra cui il reato di omicidio colposo con morte come conseguenza di altro delitto, caddero in prescrizione, mentre i tre furono scagionati («per non aver commesso il fatto») dall'accusa di aver falsificato i verbali di sommarie informazioni stilati subito dopo la morte di un anziano cacciatore 82enne. L'inchiesta, infatti, partì proprio dal decesso (per un infarto) di un cacciatore nel corso di una perquisizione effettuata a Spinazzola.
Un controllo particolarmente aggressivo eseguito il 6 novembre 2005, avrebbe provocato la morte improvvisa di Mario Botticelli, originario di Riccione e paziente cardiopatico, in trasferta in Puglia dove aveva organizzato una battuta di caccia. L'uomo, vistosi accerchiato, fu colto da arresto cardiocircolatorio e si accasciò al suolo. Secondo quanto contestato dalla Procura, alcuni imputati erano «animati da intenti persecutori nei confronti dei cacciatori», avrebbero effettuato controlli contro il bracconaggio con metodi «connotati da spregiudicata vessatorietà, aggressività e sproporzionata invasività» e avrebbero attuato una lunga serie di attività con lo scopo di accusare ingiustamente alcuni ignari cacciatori dell'impiego di richiami per uccelli, 30 dei quali, con cd e musicassette, furono trovati nell'abitazione di Stano.
Dalla sentenza di primo grado, sono trascorsi quattro anni, dinanzi alla Corte d'Appello di Bari, per quella di secondo. Che è giunta (presidente Adolfo Blattman D'Amelj), mercoledì scorso, il 7 giugno. I tre imputati, assistiti dagli avvocati Felice Petruzzella, Maurizio Altomare e Alessandro Dello Russo, sono stati assolti dall'ultimo reato, quello di falso in atto pubblico, «perché il fatto non sussiste». Una sentenza che ha spazzato via ogni accusa a 17 anni dall'inizio della vicenda.
E, soprattutto, ha finalmente una sentenza in mano che conferma quanto ha sempre sostenuto a chi gli chiedeva conto dell'epilogo amaro accaduto a un anziano cacciatore, morto durante una perquisizione. Nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Francesco Zecchillo, che il 15 gennaio 2008 squartò la sua vita, quella di un sovrintendente dell'allora Corpo Forestale dello Stato, Raffaele Stano, e di una guardia venatoria volontaria del Wwf, Moisè Mario Salvatore Checchia, c'erano accuse da far tremare i polsi: violenza privata continuata aggravata, omicidio colposo con morte come conseguenza di altro delitto, lesioni aggravate, falso ideologico e materiale, abuso d'ufficio e calunnia.
Tutti reati commessi, per il pubblico ministero che condusse le indagini dell'epoca, Michele Ruggiero, fra il 2005 e il 2007 al termine di una piccola inchiesta di provincia che finì sulle prime pagine dei quotidiani nazionali. I Carabinieri della Compagnia di Barletta, nel corso dell'attività investigativa, avrebbero accertato che i tre, svolgendo semplici controlli contro il bracconaggio nei boschi delle province di Bari e di Barletta, Andria e Trani, avrebbero utilizzato metodi sin troppo decisi, addirittura violenti, oltre a minacce e pesanti perquisizioni da parte delle guardie volontarie venatorie del Wwf. Salvemini fu posto agli arresti domiciliari per 15 giorni. E poi attese dieci lunghi anni la sentenza di primo grado.
Il 17 settembre 2018, infatti, il giudice monocratico del Tribunale di Trani, Paola Buccelli, condannò Stano a 3 anni e 6 mesi e le guardie Checchia e Salvemini a 2 anni e 6 mesi per il reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale. Gran parte dei numerosi capi d'imputazione loro addebitati dalla Procura di Trani, tra cui il reato di omicidio colposo con morte come conseguenza di altro delitto, caddero in prescrizione, mentre i tre furono scagionati («per non aver commesso il fatto») dall'accusa di aver falsificato i verbali di sommarie informazioni stilati subito dopo la morte di un anziano cacciatore 82enne. L'inchiesta, infatti, partì proprio dal decesso (per un infarto) di un cacciatore nel corso di una perquisizione effettuata a Spinazzola.
Un controllo particolarmente aggressivo eseguito il 6 novembre 2005, avrebbe provocato la morte improvvisa di Mario Botticelli, originario di Riccione e paziente cardiopatico, in trasferta in Puglia dove aveva organizzato una battuta di caccia. L'uomo, vistosi accerchiato, fu colto da arresto cardiocircolatorio e si accasciò al suolo. Secondo quanto contestato dalla Procura, alcuni imputati erano «animati da intenti persecutori nei confronti dei cacciatori», avrebbero effettuato controlli contro il bracconaggio con metodi «connotati da spregiudicata vessatorietà, aggressività e sproporzionata invasività» e avrebbero attuato una lunga serie di attività con lo scopo di accusare ingiustamente alcuni ignari cacciatori dell'impiego di richiami per uccelli, 30 dei quali, con cd e musicassette, furono trovati nell'abitazione di Stano.
Dalla sentenza di primo grado, sono trascorsi quattro anni, dinanzi alla Corte d'Appello di Bari, per quella di secondo. Che è giunta (presidente Adolfo Blattman D'Amelj), mercoledì scorso, il 7 giugno. I tre imputati, assistiti dagli avvocati Felice Petruzzella, Maurizio Altomare e Alessandro Dello Russo, sono stati assolti dall'ultimo reato, quello di falso in atto pubblico, «perché il fatto non sussiste». Una sentenza che ha spazzato via ogni accusa a 17 anni dall'inizio della vicenda.