Ancora un successo per il secondo evento della rassegna "Rosso Porpora" a Molfetta
Tutto esaurito per lo spettacolo "Harem-le donne di Federico"
lunedì 2 marzo 2020
Solo posti in piedi per il secondo appuntamento con "Rosso porpora", la rassegna contro la violenza di genere patrocinata dal Comune di Molfetta, ed in particolare dall'Assessore alla Cultura Sara Allegretta: se venerdì 28 febbraio il tema della serata era stato il Codice Rosso, ossia l'insieme di norme di recente emanazione che si propongono di ampliare la tutela verso le vittime di violenza, proseguendo sulla falsariga dell'analisi dei diritti al femminile, ad andare in scena sabato 29 febbraio nell'auditorium Salvucci del Museo Diocesano è stato lo spettacolo "Harem – le donne di Federico" che ha riportato il pubblico ai tempi dello "Stupor Mundi", l'imperatore Federico II di Svevia.
La rappresentazione, a cura dell'Associazione culturale Galleria Manfredi di Lucera, in scena per la terza volta in assoluto, nasce da un'intuizione della regista Carla de Girolamo, nata dalla lettura dell'opera di un'altra donna, Bianca Tragni, scrittrice di Altamura da sempre appassionata della storia federiciana. Dall'ispirazione fornita da questi libri, nasce appunto "Harem" che coniuga in una prospettiva assolutamente inedita la figura dell'imperatore svevo: egli non compare mai in scena, ma è sempre comunque presente sul palco tramite il dialogo delle donne della sua vita. Protagonista della pièce è infatti Bianca Lancia, storica amante del sovrano del Sacro Romano Impero, interpretata dalla stessa regista Carla de Girolamo; ad affiancarla sul palco Anna Laura d'Ecclesia nella parte di Violante, la ribelle figlia di Federico, e Arianna Gambaccini in quella della verace vecchia balia dell'imperatore.
Lo spettacolo scorre tra motteggi divertenti con il coinvolgimento del pubblico, incalzato dalla parlantina irresistibile della balia. Sono giorni di grande fermento a palazzo, si attende il ritorno del sovrano dopo una lunga campagna militare e le donne di casa sono tutte in trepidante agitazione, specie Bianca che freme per essere perfetta, "accogliente come una moglie, calda come un'amante, profumata come un'ancella". Di umore meno gioviale, è invece Viola, la quattordicenne figlia illegittima di Federico, consapevole che il ritorno del padre coincide con l'approssimarsi delle tanto detestate nozze. La ragazzina, infatti, brama essere libera, vuole viaggiare e studiare, al pari del fratello Manfredi, da sempre compagno di avvenute del genitore. La situazione si complica ulteriormente quando Bianca si rende conto che dal suo portagioie è sparita una collana, pegno d'amore di Federico; da questo evento e dalla ricerca rocambolesca che ne segue, inizia ad aprirsi una crepa sulla vita di queste donne, ridotte a fantasmi dimenticati entro la reclusione nel castello dimentico del marito e del padre, ai cui capricci e volontà passeggere figlia, amante e serva devono unicamente adeguarsi. "Noi donne apparteniamo sempre a qualcun altro, mai a noi stesse", tuona stentorea Bianca di fronte alle intemperanze di Viola che si ribella riottosa al matrimonio, unico destino concesso alla donna dell'epoca.
In un gioco di capovolgimento di parti, Bianca, la cui volontà è un mero accessorio inutile delle pretese del marito, quando ha la concreta possibilità di legare a sé Federico mediante un incantesimo scagliato dalla stessa balia che le assicurerebbe finalmente lo stato di moglie e regina, se ne ritrae inorridita, affidando al pubblico il messaggio dello spettacolo: "Non posso fargli ciò che lui non vuole. Questa è libertà. Questo è amore".
Il finale è a sorpresa e, sebbene traslato nelle asfittiche e claustrofobiche sembianze di un castello medievale e della vita delle donne in esso, consegna un forte monito ancora attuale, dove la libertà femminile all'interno dell'esperienza dell'amore resta ancora un miraggio sbiadito per molte di esse.
La rappresentazione, a cura dell'Associazione culturale Galleria Manfredi di Lucera, in scena per la terza volta in assoluto, nasce da un'intuizione della regista Carla de Girolamo, nata dalla lettura dell'opera di un'altra donna, Bianca Tragni, scrittrice di Altamura da sempre appassionata della storia federiciana. Dall'ispirazione fornita da questi libri, nasce appunto "Harem" che coniuga in una prospettiva assolutamente inedita la figura dell'imperatore svevo: egli non compare mai in scena, ma è sempre comunque presente sul palco tramite il dialogo delle donne della sua vita. Protagonista della pièce è infatti Bianca Lancia, storica amante del sovrano del Sacro Romano Impero, interpretata dalla stessa regista Carla de Girolamo; ad affiancarla sul palco Anna Laura d'Ecclesia nella parte di Violante, la ribelle figlia di Federico, e Arianna Gambaccini in quella della verace vecchia balia dell'imperatore.
Lo spettacolo scorre tra motteggi divertenti con il coinvolgimento del pubblico, incalzato dalla parlantina irresistibile della balia. Sono giorni di grande fermento a palazzo, si attende il ritorno del sovrano dopo una lunga campagna militare e le donne di casa sono tutte in trepidante agitazione, specie Bianca che freme per essere perfetta, "accogliente come una moglie, calda come un'amante, profumata come un'ancella". Di umore meno gioviale, è invece Viola, la quattordicenne figlia illegittima di Federico, consapevole che il ritorno del padre coincide con l'approssimarsi delle tanto detestate nozze. La ragazzina, infatti, brama essere libera, vuole viaggiare e studiare, al pari del fratello Manfredi, da sempre compagno di avvenute del genitore. La situazione si complica ulteriormente quando Bianca si rende conto che dal suo portagioie è sparita una collana, pegno d'amore di Federico; da questo evento e dalla ricerca rocambolesca che ne segue, inizia ad aprirsi una crepa sulla vita di queste donne, ridotte a fantasmi dimenticati entro la reclusione nel castello dimentico del marito e del padre, ai cui capricci e volontà passeggere figlia, amante e serva devono unicamente adeguarsi. "Noi donne apparteniamo sempre a qualcun altro, mai a noi stesse", tuona stentorea Bianca di fronte alle intemperanze di Viola che si ribella riottosa al matrimonio, unico destino concesso alla donna dell'epoca.
In un gioco di capovolgimento di parti, Bianca, la cui volontà è un mero accessorio inutile delle pretese del marito, quando ha la concreta possibilità di legare a sé Federico mediante un incantesimo scagliato dalla stessa balia che le assicurerebbe finalmente lo stato di moglie e regina, se ne ritrae inorridita, affidando al pubblico il messaggio dello spettacolo: "Non posso fargli ciò che lui non vuole. Questa è libertà. Questo è amore".
Il finale è a sorpresa e, sebbene traslato nelle asfittiche e claustrofobiche sembianze di un castello medievale e della vita delle donne in esso, consegna un forte monito ancora attuale, dove la libertà femminile all'interno dell'esperienza dell'amore resta ancora un miraggio sbiadito per molte di esse.