«A Molfetta comandava Manganelli». La difesa: «È pura fantasia»

Secondo due pentiti «bisognava chiedergli il permesso prima di avviare un cantiere». Poli: «Fiduciosi di chiarire»

domenica 3 ottobre 2021 19.31
A cura di Nicola Miccione
«Siamo fiduciosi di poter dimostrare la correttezza e la legittimità di ogni attività imprenditoriale svolta da Giuseppe Manganelli». Ha poca voglia di parlare, ma nessuna di arrendersi, Tommaso Poli, l'avvocato dell'imprenditore edile di Molfetta a cui giovedì scorso i Carabinieri hanno sottratto beni pari a circa 50 milioni di euro frutto, secondo la difesa, di «attività tracciabili, in evidenza fiscale pacifica».

Un capitale enorme, intestato non solo a lui (a cui gli inquirenti hanno sequestrato una motocicletta Honda, un motopeschereccio, il "Paolo Padre", del valore di 80mila euro, acquistato nel 2017 - quando l'uomo ha dichiarato al fisco 50mila euro annui -, ed un conto corrente), ma anche ai suoi familiari e conoscenti, fatto di immobili, compendi aziendali, conti correnti, veicoli e beni di lusso, compresa un'imbarcazione da diporto, attaccato, dopo un quinquennio di indagini coordinate dal pubblico ministero Ettore Cardinali, dallo Stato.

I sigilli sono stati apposti a 4 terreni, per un'estensione totale di circa 5mila metri quadrati, 5 società tra le quali la Unione Petroli, una società a responsabilità limitata con sede ad Ancona avente da sola un fatturato annuo di circa 20 milioni di euro, nata dopo un «investimento fatto nel fiorente periodo dei carburanti e delle cosiddette "pompe bianche"», ma «adesso piena di debiti», 6 veicoli e una imbarcazione da diporto, 11 conti correnti e anche quote partecipative ad un fondo di investimento, nonché 16 fabbricati, tra cui la villa, con vista sul mare, dove risiede.

«La lussuosa villa, da cui il mare non si vede affatto, di lussuoso non ha nulla. E lui non risiede neppure lì, ma al rione Madonna dei Martiri. Quello è un bene di proprietà del Demanio a cui il mio assistito paga il relativo canone demaniale» è la prima precisazione a difesa di Manganelli: 52 anni e un passato burrascoso ormai alle spalle, con il suo avvocato, che lo segue sin dai tempi dell'operazione "Reset", ha concordato che la lunga battaglia con la giustizia (la prima udienza è prevista per il 15 dicembre al Tribunale di Bari, nda) si dovrà combattere fino alla fine.

Secondo le indagini, iniziate nel 2016 dai Carabinieri della Compagnia di Molfetta, e poi sviluppate in simbiosi con il personale del Nucleo Investigativo di Bari, l'uomo - in passato condannato per associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, rapina, estorsioni e lesioni - avrebbe costruito il suo impero sulla base di capitali di «provenienza illecita», secondo quanto raccontato da due collaboratori di giustizia.

«Giuseppe Manganelli trafficava in stupefacenti. E prima del suo arresto - ha fatto mettere a verbale Giuseppe Pappagallo, originario del rione San Girolamo di Bari, indagato nell'ambito dell'operazione "Hinterland 2" del 2014 e finito in carcere nell'operazione "Halloween" del 2017 prima di cambiare strada e scegliere di collaborare con la giustizia - ha nascosto miliardi di vecchie lire, che una volta uscito ha iniziato a investire nelle costruzioni e nelle pompe di benzina».

Per Poli, però, «i miliardi nascosti sotto terra non esistono. Si tratta di una leggenda metropolitana», taglia corto. Quel che è certo, però, è che Manganelli, dopo 12 anni di carcere, «durante i quali ha sempre ottenuto sconti di pena», e, a partire dal 2011, anche «una riduzione della sorveglianza speciale applicata dopo la detenzione, proprio per la buona condotta», ha iniziato ad investire nel campo del mattone: dapprima ha costituito la Nicoletta Acquaviva, una ditta individuale che porta il nome della moglie, poi la Edilduemmegi, una società a responsabilità limitata.

Entrambe operanti nel settore edile, ma «inquinate», a detta della Procura, perché sorte grazie al reintegro di «capitali di derivazione delittuosa». Non la pensa così l'avvocato del Foro di Trani secondo cui è stato creato «un enorme battage pubblicitario» con ricadute negative sul territorio e su chi, quei fabbricati ora sequestrati, li ha acquistati: «Noi siamo abbastanza fiduciosi di poter spiegare tutto. Manganelli? Ha pagato il debito con la giustizia, ora è sereno e rispettoso, come lo è sempre stato, delle decisioni assunte dall'Autorità Giudiziaria. È giusto che la magistratura si interroghi, ma è altrettanto giusto che sia data a noi la possibilità di presentare le opportune risposte documentali».

Michele Giangaspero, di Giovinazzo, l'altro collaboratore di giustizia, che con le sue dichiarazioni, a giugno dello scorso anno, ha fatto arrestare due Carabinieri della Stazione di Giovinazzo, raccontando i rapporti che avevano con il clan Di Cosola di Bari, ha anch'esso inserito il 52enne nel settore delle costruzioni edili, nel quale «estorce denaro o altri beni a costruttori del posto. A Molfetta quando qualcuno deve iniziare lavori edili deve chiedere il permesso a Manganelli. E se lui decide che un costruttore non deve lavorare, nessuno si permette di contrastarlo», ha riferito agli inquirenti.

«È pura fantasia - replica stizzito Poli - e sarebbe grave se fosse vero perché vuol significare che nessuno ha notato questa presunta attività estorsiva da parte del mio assistito, il quale, invero, non ha più beccato una denuncia dal 1996 e ha rapporti cordiali con tutti gli imprenditori», anche con quelli destinatari di una lunga serie di serie di intimidazioni avvenute nelle ultime settimane a Molfetta. «È un sequestro preventivo, privo di intercettazioni e di riscontri - dice ancora -, che non sta in piedi».

Per arrivare ad apporre i sigilli, i Carabinieri hanno verificato, inoltre, che dal 1996 al 2018 la famiglia Manganelli ha impiegato 500mila euro in più rispetto a quanto avesse regolarmente dichiarato al fisco. E il 52enne, secondo chi lo accusa, aveva anche un alto tenore di vita: «Auto di grossa cilindrata, barche, Rolex, vacanze, pagava sempre in contanti», ha fatto mettere nero su bianco Pappagallo. «Ha la proprietà di barche, auto e abbigliamento firmato, fuma sigari molto costosi e usa un tagliasigari d'oro», ha aggiunto Giangaspero.

«Ma quale vita lussuosa? - ha continuato Poli -. Lo conosco da sempre e questo lusso non l'ho mai visto». Insomma, ad ascoltare chi lo difende, la storia non sembrerebbe essere affatto come l'hanno dipinta i giornali. Quello è «un racconto fantasioso», sostiene la difesa. «La Procura di Bari ha fatto le sue valutazioni - conclude Poli -, noi faremo le nostre, poi sarà il Tribunale di Bari, composto da tre magistrati, a decidere: confidiamo molto nella loro serenità e obiettività. Noi siamo ottimisti sulla possibilità di poter spiegare tutto».