A dieci anni dal terremoto a L'Aquila, il ricordo di Giuseppe Memola: «Esperienza fortissima»

Il volontario del SerMolfetta parla della sua spedizione in Abruzzo nel 2009

giovedì 11 aprile 2019 07.00
A cura di Danilo de Robertis
Alle ore 3:32 del 6 aprile 2009 è cambiata, tragicamente, la vita di migliaia di famiglie italiane. Il terremoto dell'Aquila ha messo in croce un'intera regione causando 309 morti, 1.600 feriti e circa 80.000 sfollati e la provincia aquilana, ancora oggi, vive sulle propria pelle il ricordo di quel drammatico evento. A dieci anni dal violento sisma dell'Abruzzo, abbiamo contattato Giuseppe Memola, volontario dal 1992 e membro del SerMolfetta dal 2005, che proprio in quel 6 aprile 2009 fece partire da Molfetta una spedizione per fornire il primo aiuto ai terremotati.

Il ricordo di Giuseppe parte proprio dalla prima mattina di quella triste giornata: «Il 6 aprile 2009 fummo chiamati già alle 6:00 di mattina dall'Anpas regionale della Protezione Civile perché c'era un'allerta di codice rosso per cui era richiesta la partenza per L'Aquila. Alle 7:00 venni in associazione e riuscimmo a formare rapidamente una squadra di cinque persone e alle 10:00 del mattino partimmo io, Nicola Gadaleta, Gianluca de Simone, Leo Guarini e Nicola Palmiotti. Il ritrovo era in Autostrada con le altre associazioni che si erano mobilitate in Puglia e in due step fu raccolta la colonna mobile regionale in direzione dell'Aquila e già in quel momento eravamo tanti volontari. Ricordo che arrivati c'era un freddo terribile, una pioggia intentissima e scosse molto frequenti che si avvertivano in maniera molto intensa. Ci hanno poi affidato lo Stadio di Acquasanta, dove giocava la squadra di rugby dell'Aquila e, nel frattempo, hanno iniziato a inviare il materiale dal Ministero per fornire i primi aiuti concreti agli sfollati. La prima tenda è stata montata alle 19:00 e da quel momento abbiamo proseguito tutta la notte sotto la pioggia incessante e al freddo. Nel campo sportivo avvertivamo ancora più fortemente le scosse del sisma perché c'era il rumore delle tribune che si muovevano per le scosse ondulatorie. Per me non era la prima esperienza di quel tipo perché nel 1989 ero stato in Umbria per un altro sisma. A L'Aquila arrivavano continuamente volontari da tutta Italia e nella prima settimana il campo presente lì era gestito quasi interamente da pugliesi, poi è iniziato il ricambio di personale perché quel tipo di lavoro è sostenibile per massimo 4-5 giorni di fila, soprattutto nella prima settimana successiva all'evento più forte quando bisogna agire con sforzi di maggiore portata. Montare centinaia di tende in poche ore significava non fermarsi mai, non potersi lavare e avere anche poche risorse alimentari a disposizione perché la priorità era naturalmente rivolta agli sfollati. Dopo alcuni giorni sono arrivati presso il nostro PMA (Posto Medico Avanzato) i primi medici e infermieri, proprio da Molfetta, ossia il dottor Foglia e l'infermiere de Judicibus. Nei giorni seguenti sono giunti altri volontari del Ser per un totale di 10-12 persone».

La fase nevralgica post-sisma era difficile da gestire: «Si dormiva pochissimo, si provava a riposare per qualche ora per recuperare qualche energia dopo tante ore di fatica ma spesso le scosse notturne interrompevano in via definitiva il sonno perché erano fortissime e creavano panico in tutto il campo. In quei momenti, dovevamo provare a far mantenere la calma nei punti di raccolta ma non era facile con la fragilità psicologica di chi sapeva di aver perso tutto nel giro di pochi secondi. Nei giorni successivi, per fortuna, la situazione ha iniziato via via a stabilizzarsi perché sono arrivate risorse di ogni tipo in quantità industriali dalla Protezione Civile e abbiamo visto i primi accenni di normalità, per esempio quando un pizzaiolo di Napoli è arrivato presso il nostro campo con la sua pizzeria mobile, iniziando ad offrire i suoi prodotti agli sfollati e a mettere della musica di sottofondo, quasi a volerli isolare dalla devastazione che li circondava. Per me l'esperienza rimane bellissima per l'intensità con cui l'ho vissuta, fra fatica e voglia di aiutare chi ne avesse bisogno. Ho visto una solidarietà crescente e totale da parte di tutti e con il passare delle ore si percepiva il desiderio collettivo di venir fuori da quella situazione, insieme. Una sorta di famiglia allargata unita da quella grande tragedia».

Un ricordo, in particolare, è vivo nella mente di Giuseppe: «Ciò che sentivamo ripeterci in continuazione, con modi ed espressioni diverse, era il "grazie". Una parola semplice ma che faceva trasparire tutta la felicità di quelle persone per l'aiuto che stavamo dando. C'era chi lo diceva in maniera esplicita, c'era chi lo faceva capire dai propri gesti o dai propri sguardi, e a noi questo bastava per trovare nuove energie per proseguire. Nello specifico, conservo nella mente un padre di famiglia, disabile, che andava nel panico più totale al momento delle nuove scosse e che proprio per rassicurarsi mi invocava dalla sua tenda chiamandomi "il gigante buono". Il 10 aprile io ho lasciato L'Aquila e ci sono ritornato solo alcuni anni dopo per una manifestazione commemorativa, per il resto non ho più avuto il coraggio di fare ritorno in quella città ma magari in futuro ci sarà occasione per chiudere il cerchio».
Terremoto
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