«A 70 anni dalla Liberazione torniamo a essere partigiani».

Il sindaco Natalicchio ricorda il 25 Aprile e le nuove Resistenze

domenica 26 aprile 2015 7.07
A cura di Mino Ciocia
Parole forti quelle del sindaco Paola Natalicchio. Pronunciate a conclusione della manifestazione che ha celebrato i 70 anni della Liberazione. Parole dure, di quelle che non si sentivano da tempo ma che dovrebbero far bene a chi tenta di dimenticare, per affermare che il "25 Aprile" non è solo una festa retorica, relegata ad un avvenimento qualsiasi, ma lo spartiacque tra il regime fascista e la democrazia, quella conquistata sui campi di battaglia da una intera generazione di giovani, quelli che hanno fatto l'Italia che oggi conosciamo.

È la festa della Resistenza quella dei molfettesi Minguccio il barbiere, detto Figaro, attivo nella brigata Garibaldi, nell'astigiano, Pasquale Petroli, che partecipò alle giornate di Parma, Mauro Manente, attivo nella guerra di liberazione padovana. È la festa di partigiani da riscoprire come Tiberio Pansini attivo nelle Divisioni Garibaldine Lombarde, assassinato il 9 Aprile del 1945, figlio di Giovanni, nato a Molfetta e condannato nel 1931 dal Tribunale Speciale fascista a 5 anni di confino, scontati prima a Ponza e poi a Ventotene. «Sono passati 70 anni dalla vittoria dell'antifascismo coraggioso dei partigiani, dall'uscita dalla vergogna di un ventennio di arretratezza, barbarie, leggi ingiuste e liberticide, rastrellamenti, deportazioni, alleanze scabrose con la Germania nazista – ha affermato Natalicchio – 70 anni dalla Resistenza, e da quel percorso che portò dal "Comitato di Liberazione Nazionale" al referendum del '46, fino all'approvazione della nostra Carta Costituzionale e alla fondazione della nostra Repubblica democratica e antifascista».

Due valori, perché di questo si tratta, che sono menzionati proprio nel testo della Costituzione. «In questo Paese – ha continuato Natalicchio - l'antifascismo è un valore obbligatorio, fondativo di ogni comunità. Ci sono tre famiglie politiche che hanno fatto l'Italia libera e democratica nella quale noi oggi viviamo: quella comunista, quella socialista liberale e quella cattolico-democratica. Senza dimenticare l'apporto libertario degli anarchici. Queste famiglie politiche, durante la Resistenza, combatterono insieme, l'una staffetta dell'altra, per restituire all'Italia la dignità perduta con Benito Mussolini. L'Italia di Dante e Michelangelo, di Ariosto e Manzoni, di Foscolo e Leopardi condannata durante il Ventennio fascista ad una diffusa ignoranza, alla perdita della dignità». Una dignità perduta dal promulgamento di leggi che abolivano il diritto di sciopero, che relegavano al confino gli oppositori politici, delle leggi sulla stampa, che doveva essere solo di regime, e quelle razziali, promulgate ben prima che in Germania, che hanno condannato alla deportazione e alla morte milioni di ebrei. «Di quella Italia, 70 anni dopo, dobbiamo avere il coraggio di vergognarci - ha proseguito la sindaco - La nostra Italia è un'altra. È quella iniziata esattamente settant'anni fa. Quella di Gaetano Salvemini, il più illustre dei nostri concittadini, quella di Carlo Muscetta e Tommaso Fiore, quella di Manfredi Azzarita, grande animatore della resistenza romana, uno dei 355 morti ammazzati e trucidati delle Fosse Ardeatine».

Con il primo Viaggio della Memoria lo scorso anno il Comune ha portato proprio alle Fosse Ardeatine 50 studenti molfettesi. Quest'anno a Trieste, al campo di concentramento della Risiera di San Sabba. «La nostra Italia e la nostra Molfetta – ha ammonito Natalicchio - sta dalla parte delle vittime delle leggi razziali e del manifesto della razza, come Piero Terracina, a cui abbiamo voluto conferire la cittadinanza onoraria, uno dei milioni, milioni di ebrei deportati nei campi di concentramento, esattamente ad Auschwitz Birkenau, tornato e sopravvissuto e instancabile testimone di memoria. Per questo la nostra Italia e la nostra Molfetta ripudia ogni apologia di personaggi come Giorgio Almirante, a cui qualcuno ha intitolato una strada della città, forse dimenticando che quel manifesto della Razza che ha portato alla deportazione di Terracina, della sua famiglia e dei tanti ebrei italiani che sono morti nelle camere a gas Almirante lo aveva firmato senza mai pentirsene». Natalicchio, con il suo discorso, vuole che si sfugga dal revisionismo pericoloso e qualunquista, da quella neutralità che sta peggiorando la vita democratica del Paese. «Nessuno dimentichi quanto è costata la nostra libertà di essere quello che siamo – ha affermato – Dobbiamo tornare ad essere quei partigiani che non sappiamo più essere per evitare quei rigurgiti di neofascismo che con grande evidenza tornano, ogni giorno, in ogni angolo d'Italia». La sua accusa è rivolta a chi intende sgombrare i campi Rom con le ruspe o affondare i barconi dei migranti militarizzando le frontiere «e – ha affermato - non si vergogna».

«Anche poi dobbiamo essere partigiani – la sua esortazione – la nostra Resistenza deve essere quella a difesa degli ultimi, dei precari e di chi perde il lavoro, degli anziani e degli ammalati. Per il rispetto e per il diritto ad una vita migliore. Per questo dobbiamo essere da una parte, dobbiamo essere partigiani».