28 anni dalla tragedia del Francesco Padre. La figlia del comandante: «Una ferita aperta»
Il ricordo di Maria Pansini: «Il tempo non affievolisce il dolore»
venerdì 4 novembre 2022
10.11
Era la nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 1994 quando si persero improvvisamente le tracce del motopeschereccio Francesco Padre, esploso alle ore 00:30 lungo la costa adriatica nei pressi dell'attuale Montenegro: in quella circostanza persero la vita il comandante Giovanni Pansini (45 anni), Luigi De Giglio (56 anni), Saverio Gadaleta (45 anni), Francesco Zaza (31 anni), Mario De Nicolo (28 anni) e il loro fedele cane Leone.
«A dare l'allarme fu il pilota di un aereo Nato impegnato nelle operazioni di embargo all'ex Jugoslavia. Poco più di un'ora dopo, un'unità della marina spagnola raggiunse il luogo dell'esplosione ma senza trovare superstiti. All'epoca era in corso l'operazione militare "Sharp Guard" e subito in città incominciarono a impazzare le voci più assurde ed infanganti per questi uomini e per la marineria molfettese - racconta Maria Pansini, figlia del comandante - ma noi non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che mio padre trasportasse esplosivo sul suo peschereccio».
«Le autorità Nato esclusero che l'esplosione del peschereccio fosse collegata alle operazioni in corso nel basso Adriatico. I periti della Procura giunsero alla frettolosa conclusione che a bordo del "Francesco Padre" ci fosse esplosivo. Il 13 maggio del 1997 l'inchiesta viene archiviata. Nel 2001 viene presentata istanza per richiedere la riapertura dell'inchiesta e il recupero del relitto ma la Procura rigetta. Nel 2010 arriva la svolta - prosegue Maria - e l'inchiesta riparte. Poi viene chiusa e di nuovo riaperta per finire con l'ennesima archiviazione perché la mancanza assoluta di collaborazione delle forze Nato, che non hanno mai risposto alle rogatorie internazionali necessarie alla Procura di procedere con eventuali richieste di rinvio a giudizio».
«Il tempo non affievolisce minimamente il dolore - racconta - perché aumenta solo il senso di impotenza di tutte quelle famiglie che sono consapevoli di non poter mai avere una reale risposta a questo dramma. Anche quel giorno del 1994 era una notte tra giovedì e venerdì, quindi questa coincidenza rende ancora più vivo il ricordo di quelle ore strazianti in cui ci siamo resi conto di aver perso i nostri cari per cause ancora oggi sconosciute».
«Nel 2014, inoltre, venne depositata da quattro tecnici di parte civile una perizia secondo la quale, nel 1994, a causare l'esplosione e il conseguente inabissamento del motopeschereccio Francesco padre sarebbe stato un colpo sparato da una distanza non inferiore a 500 metri: si arrivò così alle conclusioni dell'inchiesta a cui è giunse la Procura di Trani, quando, demolendo tutte le altre ipotesi investigative, ritenute infondate, affermò che il motopeschereccio Francesco Padre era affondato per un tragico errore. Un dramma che ancora oggi non conosce verità e soprattutto non vede colpevoli ma solo famiglie che hanno perso i propri cari» conclude Maria Pansini.
«A dare l'allarme fu il pilota di un aereo Nato impegnato nelle operazioni di embargo all'ex Jugoslavia. Poco più di un'ora dopo, un'unità della marina spagnola raggiunse il luogo dell'esplosione ma senza trovare superstiti. All'epoca era in corso l'operazione militare "Sharp Guard" e subito in città incominciarono a impazzare le voci più assurde ed infanganti per questi uomini e per la marineria molfettese - racconta Maria Pansini, figlia del comandante - ma noi non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che mio padre trasportasse esplosivo sul suo peschereccio».
«Le autorità Nato esclusero che l'esplosione del peschereccio fosse collegata alle operazioni in corso nel basso Adriatico. I periti della Procura giunsero alla frettolosa conclusione che a bordo del "Francesco Padre" ci fosse esplosivo. Il 13 maggio del 1997 l'inchiesta viene archiviata. Nel 2001 viene presentata istanza per richiedere la riapertura dell'inchiesta e il recupero del relitto ma la Procura rigetta. Nel 2010 arriva la svolta - prosegue Maria - e l'inchiesta riparte. Poi viene chiusa e di nuovo riaperta per finire con l'ennesima archiviazione perché la mancanza assoluta di collaborazione delle forze Nato, che non hanno mai risposto alle rogatorie internazionali necessarie alla Procura di procedere con eventuali richieste di rinvio a giudizio».
«Il tempo non affievolisce minimamente il dolore - racconta - perché aumenta solo il senso di impotenza di tutte quelle famiglie che sono consapevoli di non poter mai avere una reale risposta a questo dramma. Anche quel giorno del 1994 era una notte tra giovedì e venerdì, quindi questa coincidenza rende ancora più vivo il ricordo di quelle ore strazianti in cui ci siamo resi conto di aver perso i nostri cari per cause ancora oggi sconosciute».
«Nel 2014, inoltre, venne depositata da quattro tecnici di parte civile una perizia secondo la quale, nel 1994, a causare l'esplosione e il conseguente inabissamento del motopeschereccio Francesco padre sarebbe stato un colpo sparato da una distanza non inferiore a 500 metri: si arrivò così alle conclusioni dell'inchiesta a cui è giunse la Procura di Trani, quando, demolendo tutte le altre ipotesi investigative, ritenute infondate, affermò che il motopeschereccio Francesco Padre era affondato per un tragico errore. Un dramma che ancora oggi non conosce verità e soprattutto non vede colpevoli ma solo famiglie che hanno perso i propri cari» conclude Maria Pansini.